Uno studio canadese su ratti di laboratorio trova la chiave di tutte le mnemotecniche
Si spegne un gene, si potenziano i ricordi. La super-memoria del topo ‘cervellone’
CHI CONSIGLIA di circondarsi di profumo di rose durante la notte, chi di rappresentarsi un’immagine mentale che corrisponda all’informazione che si vuol ricordare, chi di far ricorso a stimolanti come il guaranà. E per chi è proprio alla frutta non resterebbe che legarsi un nodo al dito. Un ‘fiore da coltivare’, dalle radici saldamente ancorate nell’inconscio, almeno così abbiamo creduto che funzionasse la memoria fino a quando gli scienziati non hanno cominciato a studiarla, per mostrarcene il complicatissimo organizzarsi fondato sulle connessioni nervose tra neuroni, le sinapsi. Un processo delicatissimo che, quando fallisce, può dar luogo anche a patologie gravi. Lo sanno bene i malati di Alzheimer.
Da oggi, tutti gli sforzi per potenziarla sembrano legati ad un unico gesto: ‘spegnere un interruttore’. Un gruppo di ricercatori dell’università McGill di Montreal, in Canada, guidati dal professore uruguaiano Mauro Costa-Mattioli, ha infatti scoperto che rendendo inattivo un gene si riescono a potenziare smisuratamente le capacità della memoria. “Si tratta – spiegano gli scienziati alla rivista Cell – di una proteina del cervello che induce il blocco della formazione di ricordi”. Perciò eIF2alfa, questo il nome del gene, è diventato subito il bersaglio da neutralizzare. Gli scienziati si sono accorti che se riuscivano a spegnerne l’interruttore, le cavie usate per la loro ricerca mostravano funzioni mnemoniche eccezionali. Così i topolini del laboratorio canadese si sono candidati a diventare i primi topi ‘cervelloni’ del pianeta. Una serie di ricerche incrociate ha confermato poi le supposizioni: la proteina eIF2alfa accendendosi mette in azione una molecola che blocca la formazione dei ricordi duraturi. Non appena, infatti, l’interruttore veniva riattivato quelle facoltà speciali svanivano.
La scoperta ha implicazioni notevoli soprattutto nell’ambito medico: “Il prossimo passo inevitabile – spiegano gli autori della ricerca – è cercare piccole molecole capaci di riprodurre l’effetto di miglioramento della memoria agendo su questo bersaglio. Se si potesse arrivare a una simile pillola della memoria, si potrebbero trattare patologie come l’Alzheimer”.
Ma non solo. “Se una persona dovesse memorizzare la pagina di un libro dovrebbe leggerla molte volte – dice Costa-Mattioli – mentre un individuo equivalente ai topolini ‘super-memorizzatori’ potrebbe fissare nella mente quella stessa pagina in un batter d’occhio”.
La memoria è da sempre l’oggetto di un agonistico impegno da parte dell’uomo nel tentativo di controllarla e potenziarla, fin dalle mnemotecniche studiate dai greci e di cui si avvalevano gli oratori latini. La storia dell’uomo è la storia della sua capacità di accumulare ricordi, di stoccare informazioni, di costruirsi un bagaglio di immagini, percezioni, dati e conoscenze che durino nel tempo. E questo non soltanto perché il patrimonio mnemonico che ciascun individuo accumula ne determina l’identità, ma perché è proprio sulla base dell’azione della memoria che cataloghiamo e rielaboriamo le esperienze e che, perciò, impariamo.
(6 aprile 2007) Repubblica.it