La sceneggiatura di un film. La trama di un thriller. La biografia di Giulio Pompermaier, arzillo 84enne presidente onorario del Patt, nato a Calliano.
Il titolo – “Incredibile evasione dal lager di Fallersleben” -dice parecchio, ma non tutto.
Perché le vicissitudini del terzetto di studenti di Calliano nel giro di poco meno di due anni, fra il 1943 ed il 1945, sono la storia di un’amicizia solida, ferrea, incrollabile.
Sono la storia di un eroismo umile, ruspante, genuino. Tant’è vero che questo racconto arriva nelle librerie a oltre sessant’anni di distanza da quei fatti ed a trenta dalla scomparsa di uno tre. “Quello che abbiamo fatto – sorride oggi Giulio Pompermaier – non si doveva fare. Solo dei pazzi l’avrebbero fatto”.
E loro, due “folli” amici, si sono inventati agenti segreti per liberare il terzo, fatto prigioniero dei tedeschi ed internato in Germania. Hanno sfidato il buonsenso, la paura, la Criminalpolizei, il freddo e le bombe, ma hanno riportato a casa Mario Marzari. I due sarebbero poi diventati un funzionario di banca ed un dentista.
Mario è alpino a Merano, viene catturato dai tedeschi e deportato in Germania nel 1943.
Alberto Alberti e Giulio, studente di medicina uno e di ingegneria l’altro, rischiano di venire richiamati sotto le armi. Giocano d’anticipo e vanno ad Innsbruck per lavorare: è una “copertura” per cercare di individuare il campo dove è rinchiuso il compagno. La sigla fornita dalla Croce rossa non basta né, tanto meno, serve il numero identificativo del prigioniero, 152831.
Nella capitale del Tirolo i due trovano comunque un’occupazione in una clinica ed in un’impresa edile. L’impegno medico di Alberto sarà determinante: “Senza i suoi timbri e la sua qualifica non ce l’avremmo mai fatta”, ammette Pompermaier. A Innsbruck le ricerche sono infruttuose ma il rientro di un trentino (malato gravemente) da Fallersleben, fra Berlino ed Hannover, un sottocampo di Neuengamme, fa chiarezza: Mario si trova là. I due si attivano e tra timbri “rubati” ed autorizzazioni più o meno vere riescono a pianificare la missione di salvataggio. Non nei dettagli, naturalmente, perché non hanno nemmeno idea di come sia il campo di prigionia.
Però, malgrado il nazismo sia ormai ad un passo dal baratro, in una dozzina di ore, Giulio e Alberto arrivano in treno da Innsbruck fino a Fallersleben, concedendosi perfino il lusso di visitare la martoriata capitale, Berlino: “C’erano macerie ovunque – ricorda Pompermaier – ma la S-Bahn (la metropolitana, ndr) funzionava perfettamente”. Quando arrivano al campo scoprono che c’è un settore nel quale sono rinchiusi gli ebrei: “Nessuno si è salvato”, commenta amareggiato il protagonista della storia. Nessuno può avvicinarsi a quella zona, che confina con una fabbrica sotterranea separata da un canale dalle baracche dove sono tenuti gli altri prigionieri, fra i quali il terzo trentino. Alberto e Giulio hanno paura, ma entrano nel campo, ognuno con addosso un capo di abbigliamento più del necessario per “travestire” da civile Mario: “I tedeschi commisero un errore gravissimo – ricorda – quello di non ritirarci i documenti”. Alberto esce con Mario, nel frattempo dimagrito da 80 a 50 chili, mentre Alberto resta all’interno con un sangue freddo impressionante: “Ero terrorizzato – ammette – roba da infarto. Sapevano tutti e tre che se ci avessero scoperti saremmo stati fucilati. All’istante”. Invece si danno appuntamento alla seconda stazione del treno (“non alla prima poiché il prigioniero poteva rischiare di venire riconosciuto”) perché Alberto deve attendere il cambio della guardia per uscire.
La storia dell’evasione, del successivo viaggio verso Innsbruck, del rientro in Italia e dell’attesa per la fine della guerra sono i pilastri del libro, redatto in due lingue: “Magari lo leggono anche a Bolzano e in Austria”, ammicca l’autore che ci ha lavorato per tre anni. Per due volte almeno i bombardamenti salvano gli amici perché la dubbia regolarità dei documenti insospettisce gli agenti della polizia tedesca. Ma la sirena ed il successivo fuggi fuggi consentono ai protagonisti di farla franca. Anche perché, dopo un rocambolesco primo ritorno a Calliano (a bordo di un treno merci nascosti sotto dei mattoncini), Alberto e Giulio, optano per Innsbruck dove aiutano Mario che non se l’era sentita di sfidare ancora i tedeschi: “Abbiamo aspettato insieme la fine della guerra”, conclude Pompermaier. Che poi torna a Innsbruck per finire gli studi universitari laureandosi in lingue e trovando lavoro alla Banca di Trento e Bolzano come corrispondente estero. Poi il matrimonio con Adalgisa ed i cinque figli, oggi tutti impegnati all’estero, fra Bruxelles, Francoforte e l’Azerbaijan.
di MATTIA ECCHELI
fonte:l’Adige.it