di ASTRID MAZZOLA
fonte: l’Adige.it
«Paesaggio» è una parola molto usata. Fatto positivo: è diffusa la consapevolezza della sua importanza. Ma anche rischioso: le parole inflazionate si svuotano di significato. È il punto di partenza del documentario «Dentro il paesaggio», presentato alla sala Falconetto di Palazzo Geremia a Trento, nell’ambito del laboratorio urbano «CasaCittà». La pellicola, nata da un’idea di Giuseppe Scaglione – docente di urbanistica e paesaggio all’Università di Trento – e prodotta dalla FilmWork, è il risultato di un progetto sviluppatosi all’interno della biennale del paesaggio alpino «Alps». Scorrendo tra le linee disegnate e quelle fisiche di montagne, laghi ed edifici, il documentario mostra come il paesaggio sia sempre «punto di vista», abbia bisogno di un soggetto che lo percepisce paesaggio. Ha spiegato il regista, Andrea Andreotti : «Abbiamo cercato di mettere in luce la soggettività del rapporto con il paesaggio: a seconda di come dirigevamo la telecamera il paesaggio cambiava in modo sorprendente». L’essere umano non può fare a meno di creare paesaggio perché plasma l’ambiente sulle proprie esigenze. Da qui il senso del documentario: questa consapevolezza dovrebbe condurre ad interventi non casuali e disomogenei ma progettati e, soprattutto, condivisi. Riflessioni affascinanti e utili ma difficili da tradurre in una realtà in cui spesso la progettualità globale è assente. Questo è emerso dal dibattito, condotto dal curatore della pellicola Alessandro Franceschini , che ha seguito la proiezione, utile complemento di un documentario pieno di buone idee espresse in modo un po’ troppo complesso per essere accessibili a un pubblico non esperto. A «portarla con i piedi per terra» sono intervenuti alcuni architetti che, in diverse sedi, hanno vissuto la difficoltà di trasformare i concetti in realtà. Franco Allocca , membro uscente della Commissione provinciale per la tutela paesaggistico-ambientale, ha parlato a titolo personale sottolineando come il ruolo dell’organismo pubblico sia prevalentemente consultivo e come in molte occasioni si sia trovato a dover approvare progetti ai quali per varie motivazioni non era possibile dire di no; oppure a valutare progetti in tempi contenuti, senza avere la possibilità di verificarne l’attuabilità: «Parafrasando potrei dire vedo il bene che vorrei ma faccio il male che non vorrei». Alla sua voce si è aggiunta quella di Cesare Micheletti , architetto del paesaggio ed ex membro della Commissione urbanistica provinciale, che ha evidenziato la difficoltà di interazione tra le figure professionali che si occupano degli interventi sul paesaggio: «Noi architetti siamo particolarmente attenti alle forme mentre altri, come i geografi o gli agronomi, sono più interessati al processo. Auspico una maggior integrazione tra le diverse prospettive». Ha commentato le loro osservazioni, dal pubblico, la presidentessa di Legambiente Maddalena Di Tolla Deflorian : «Il problema è chiaro: questa sera siamo in pochi. È importante che queste cose siano conosciute da tutti. La popolazione deve sapere che spesso le Commissioni non hanno l’ultima parola sulle decisioni prese. Tali decisioni vengono giustificate con il parere favorevole delle Commissioni, che quindi contribuiscono indirettamente a diffondere una controcultura che si oppone agli interessi del paesaggio». Sono intervenuti inoltre Mauro Leoni , che ha constatato come le «buone intenzioni» espresse nelle norme, spesso, vengano stravolte dalla loro applicazione e sia pertanto difficile controllare la qualità del paesaggio creato, e il professor Giuseppe Scaglione, il quale ha ricordato che l’Italia è ancora molto in ritardo, rispetto al resto d’Europa, nell’occuparsi di paesaggio.